Crescita salari: Italia vs. area Ocse, un confronto dettagliato

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Crescita salari: Italia vs. area Ocse, un confronto dettagliato - avvisatore.it

Ultimo aggiornamento il 14 Dicembre 2023 by Redazione

Salari in Italia: una crescita stagnante

Secondo il rapporto Inapp presentato a Roma, i salari in Italia sono rimasti pressoché invariati negli ultimi anni. Mentre i Paesi dell’area Ocse hanno registrato una crescita media del 32,5% tra il 1991 e il 2022, l’Italia ha registrato solo un modesto aumento dell’1%. Nel 2020, durante il terzo anno della pandemia da Covid-19, si è verificato un calo dei salari reali del -4,8%, il più ampio tra gli anni considerati nel rapporto. Inoltre, la differenza con la crescita dell’area Ocse è stata del -33,6%. Questo problema si accompagna anche a una scarsa produttività, con una crescita inferiore rispetto ai Paesi del G7. Nel 2021, il divario è stato del 25,5%.

Le criticità strutturali del mercato del lavoro italiano

Nonostante la ripresa dopo la crisi generata dalla pandemia, il mercato del lavoro italiano si trova ad affrontare diverse criticità strutturali. Tra queste vi sono i bassi salari, la scarsa produttività, la mancanza di formazione e un sistema di welfare che non riesce a proteggere tutti i lavoratori. Inoltre, oltre 4 milioni di lavoratori “non standard”, tra cui autonomi, licenziati o in cerca di occupazione, non hanno alcuna forma di protezione. Si sta inoltre verificando una carenza di forza lavoro, con le imprese che faticano a coprire i posti vacanti. Questo amplia sempre di più il divario tra domanda e offerta di lavoro.

Secondo il presidente dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, Sebastiano Fadda, dopo la crisi pandemica il mercato del lavoro ha ripreso a crescere, ma con rallentamenti dovuti a fattori esterni come il conflitto bellico, l’inflazione e la crisi energetica, ma anche a fattori interni come i bassi salari, la scarsa produttività, la mancanza di formazione e gli incentivi statali per le assunzioni che non hanno portato i benefici sperati. Occorrono quindi interventi mirati e rapidi per indirizzare il mercato del lavoro verso una crescita più sostenuta, che tenga conto della rivoluzione tecnologica e digitale in corso.

L’ipotesi delle dimissioni e l’invecchiamento della popolazione

Secondo il rapporto Inapp, un numero significativo di occupati in Italia ha manifestato l’intenzione di lasciare il proprio lavoro. Il 14,6% degli occupati tra i 18 e i 74 anni, ovvero oltre 3,3 milioni di persone, ha pensato di dimettersi. Di questi, l’1,1% lo farebbe anche se comportasse una riduzione del tenore di vita, mentre il 13,5% lo farebbe solo se avesse altre fonti di reddito. Le percentuali più alte di chi vuole dimettersi si osservano tra gli occupati con un diploma, diminuendo con l’aumentare dell’età e delle dimensioni del comune di residenza.

Le persone che desiderano dimettersi sono principalmente dipendenti di imprese di medie dimensioni e operano nel settore privato. Nel settore pubblico, l’1,5% dei lavoratori sarebbe disposto a dimettersi anche se comportasse una riduzione del tenore di vita. Il desiderio di cambiare lavoro è maggiore per chi svolge lavori faticosi e poco soddisfacenti.

Inoltre, l’invecchiamento della popolazione e della forza lavoro influiscono sul mercato del lavoro italiano. Nel 2023, ogni 1.000 lavoratori di età compresa tra 19 e 39 anni ci sono più di 1.400 lavoratori adulti-anziani. Il settore con il maggior numero di lavoratori anziani è la Pubblica amministrazione, seguito dal settore finanziario e assicurativo.

La formazione continua e l’apprendistato

La partecipazione degli individui agli interventi formativi in Italia è ancora molto bassa. Nel 2022, solo il 9,6% della popolazione adulta tra i 25 e i 64 anni ha partecipato ad attività di istruzione e formazione. Nonostante un aumento rispetto al 2020 (+2,4%), l’Italia rimane indietro rispetto alla media europea (11,9%).

L’apprendistato duale ha una scarsa attrattiva sia per le imprese che per i giovani. Rappresenta solo tra il 3% e il 4% del totale degli apprendisti in formazione. Inoltre, la concentrazione degli apprendisti per qualifica e diploma professionale

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