Dal 1956, solo 9 donne hanno ricoperto il ruolo di giudici costituzionali su un totale di 125, di cui 2 selezionate dal Parlamento

Elezioni Corte Costituzionale: Maria Alessandra Sandulli è l’unica donna eletta, evidenziando il persistente gap di genere nelle istituzioni italiane e la lentezza del legislatore nel promuovere la parità.
"Grafico che illustra la rappresentanza femminile tra i giudici costituzionali in Italia dal 1956, evidenziando che solo 9 donne su 125 giudici, di cui solo 2 elette dal Parlamento." "Grafico che illustra la rappresentanza femminile tra i giudici costituzionali in Italia dal 1956, evidenziando che solo 9 donne su 125 giudici, di cui solo 2 elette dal Parlamento."
Dal 1956, la rappresentanza femminile all'interno della Corte Costituzionale italiana ha mostrato un significativo squilibrio di genere, con solo 9 donne su un totale di 125 giudici costituzionali. Questo dato evidenzia una realtà preoccupante in un'istituzione fondamentale per la salvaguardia dei diritti e delle libertà nel nostro Paese. Tra queste, solo 2 sono state elette direttamente dal Parlamento, sottolineando le difficoltà e le barriere che le donne affrontano nel raggiungere posizioni di vertice in ambito giuridico. Questa situazione non solo riflette le disparità di genere nel sistema giudiziario, ma solleva interrogativi sulla rappresent

Ultimo aggiornamento il 13 Febbraio 2025 by Luisa Pizzardi

Le recenti elezioni per la Corte Costituzionale hanno evidenziato un persistente gap di genere che continua a caratterizzare le istituzioni italiane. Il 13 febbraio 2025, durante la seduta comune delle Camere, è stata eletta Maria Alessandra Sandulli, unica donna tra i quattro giudici da nominare, portando il numero totale delle donne in carica a nove nella storia della Repubblica. Questo risultato, sebbene significativo, mette in luce l’inefficienza del legislatore nel colmare le lacune di rappresentanza femminile.

Il contesto della nomina

La Corte Costituzionale, istituita nel 1956, ha visto nel corso degli anni un numero esiguo di donne tra i suoi membri. Con 113 uomini su 125 giudici nominati fino ad oggi, il cammino verso una rappresentanza equilibrata è ancora lungo. La prima donna a entrare nella Corte fu Fernanda Contri, nominata nel novembre del 1996. Da allora, solo otto donne hanno seguito le sue orme, tra cui Marta Cartabia e Daria De Pretis. La nomina di Sandulli non solo rappresenta un passo avanti, ma evidenzia anche la lentezza con cui si sta modificando la composizione di questo prestigioso organo.

La composizione attuale della Corte

Attualmente, la Corte è composta da 15 giudici, di cui solo quattro sono donne. Tra queste, tre non sono state nominate dal Parlamento, ma direttamente dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e dalla Corte di Cassazione. Questo scenario dimostra che, sebbene ci sia una maggiore presenza femminile rispetto al passato, il Parlamento ha mancato l’opportunità di riequilibrare la situazione durante le recenti elezioni. Con la possibilità di nominare quattro nuovi giudici, i rappresentanti del popolo non sono riusciti a portare la composizione della Corte a un equilibrio quasi paritario, con sette donne su quindici.

Il ruolo del Quirinale nelle nomine

Il Quirinale ha storicamente giocato un ruolo cruciale nella nomina delle donne alla Corte Costituzionale. Su otto giudici donne nominate, ben sei provengono da nomine presidenziali. L’ex presidente Oscar Luigi Scalfaro ha aperto la strada con la nomina di Contri, e successivamente altri presidenti hanno continuato a seguire questa linea. Carlo Azeglio Ciampi, Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella hanno tutti contribuito a incrementare la presenza femminile in questo organo, dimostrando un impegno verso la parità di genere.

Le prospettive future

Nonostante i progressi, il cammino verso una rappresentanza equa è ancora irto di ostacoli. La nomina di Sandulli e delle altre giudici rappresenta un passo importante, ma è evidente che il Parlamento deve fare di più per promuovere la parità di genere. La storia della Corte Costituzionale, con le sue disuguaglianze, deve servire da monito per le future generazioni di legislatori. La sfida di ridurre il gap di genere non è solo una questione di numeri, ma un imperativo morale per garantire che tutte le voci siano rappresentate in modo equo nelle istituzioni del paese.

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