Ultimo aggiornamento il 4 Giugno 2024 by Luisa Pizzardi
La Corte d’appello di Caltanissetta ha recentemente emesso un verdetto significativo riguardo al caso di depistaggio delle indagini sulla strage che costò la vita al giudice Paolo Borsellino e ai cinque agenti della sua scorta. ‘accusa di calunnia aggravata dall’aver favorito la mafia, contestata al funzionario di polizia Maio Bo, all’ispettore Fabrizio Mattei e all’agente Michele Ribaudo, è stata dichiarata prescritta. Questo verdetto conferma in gran parte la sentenza di primo grado, ad eccezione del caso di Ribaudo, che era stato precedentemente assolto nel merito.
Un elemento chiave di questo caso è stata la caduta dell’aggravante mafiosa, un fattore che ha direttamente portato alla prescrizione del reato di calunnia. Secondo l’accusa, rappresentata dal pg Fabio ‘Anna, dal sostituto Gaetano Bono e dal pm Maurizio Bonaccorso, i tre poliziotti avrebbero orchestrato una falsa verità sull’eccidio. Questa falsa verità sarebbe stata costruita costringendo personaggi come Vincenzo Scarantino, un piccolo delinquente della borgata Guadagna, a fornire una ricostruzione non veritiera della fase preparatoria dell’attentato e ad accusare mafiosi che non avevano alcun collegamento con l’autobomba di via d’Amelio.
Le dichiarazioni di questi falsi pentiti hanno avuto conseguenze drammatiche, portando all’ergastolo sette persone innocenti. Questi individui sono stati successivamente scagionati attraverso un processo di revisione. Tra le parti civili presenti al dibattimento figuravano i figli e il fratello del giudice Borsellino, alcuni familiari degli agenti di scorta e i sette mafiosi ingiustamente condannati per l’eccidio: Gaetano Murana, Giuseppe la Mattina, Franco Urso, Natale Gambino, Cosimo Vernengo, Salvatore Profeta e Gaetano Scotto.
La svolta nel caso è arrivata quando la Procura di Caltanissetta, sulla base delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, ha riaperto le indagini sull’attentato. Queste nuove indagini hanno permesso di ricostruire le reali responsabilità dell’eccidio, che sono state attribuite alla famiglia mafiosa di Brancaccio. Questo sviluppo ha portato alla luce le incongruenze nella versione dei fatti presentata inizialmente e ha contribuito a fare chiarezza su uno dei capitoli più oscuri della storia giudiziaria italiana.
Il verdetto della Corte d’appello di Caltanissetta, pur chiudendo formalmente il caso, lascia aperte delle domande sulla gestione delle indagini e sulle responsabilità individuali. La prescrizione del reato di calunnia aggravata impedisce di stabilire in modo definitivo le responsabilità dei tre poliziotti coinvolti, ma non cancella le conseguenze che le loro azioni hanno avuto sulla vita di sette persone innocenti e sui familiari delle vittime della strage.
Nonostante la chiusura del caso, la ricerca della verità continua. La strage Borsellino rimane un capitolo doloroso nella storia italiana, un simbolo della lotta contro la mafia e della necessità di una giustizia che sappia andare fino in fondo, senza compromessi. La prescrizione del reato non cancella la necessità di conoscere la verità e di rendere giustizia alle vittime e ai loro familiari. La sentenza della Corte d’appello di Caltanissetta rappresenta un passo nel percorso verso la verità, ma non il punto di arrivo. La ricerca della verità e della giustizia continua, nel rispetto della memoria di Paolo Borsellino e di tutti coloro che hanno perso la vita nella lotta contro la mafia.