Giorgio Di Genova presenta il Terzo Volume della Raccolta dei suoi saggi alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna: l’intervista al celeberrimo critico e storico

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Ultimo aggiornamento il 3 Dicembre 2023 by Redazione

Intervista allo Storico e Critico d’Arte Giorgio Di Genova: il tatuaggio nella storia dell’arte e l’ispirazione per il terzo volume della raccolta dei saggi più rappresentativi dell’autore edita da Gangemi presentata alla Galleria Nazionale

Mercoledì 3 novembre alle ore 17.00, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea ha presentato il progetto editoriale in tre volumi di Giorgio Di Genova dal titolo “Interventi ed erratiche esplorazioni sull’arte. La dialettica del mestiere di un critico“, per le edizioni Gangemi Editore.

 

L’opera si articola in tre tomi e raccoglie scritti e saggi pubblicati dall’autore negli anni, ciascuno dedicato all’esplorazione di specifiche tematiche e periodi storico-artistici, eterogenei e rivolti a moltissimi campi di interesse. In ogni libro, troviamo saggi critici, presentazioni di artisti, gli “addii” a personalità del mondo della cultura, recensioni di mostre e di libri, interviste, editoriali, polemiche, provocazioni e stroncature, che evidenziano maggiormente la sua particolare dialettica di critico e studioso.

Autore della Storia dell’arte italiana del ‘900, abbiamo avuto l’onore ed il piacere di poter discutere direttamente con l’autore del terzo volume di raccolta dei suoi testi, presentato, assieme ai due precedenti alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna da Claudia Palma, Direttrice degli Archìvi della GNAM, Paolo Bolpagni, Direttore della Fondazione Ragghianti di Lucca, e Michela Becchis, storica dell’arte.

Nato a Roma nel 1933, dal 1961 svolge un’intensa attività di critico d’arte. Ha collaborato a quotidiani, periodici ed è stato il fondatore del trimestrale “Terzo Occhio” (Bologna, 1975-2009). Ha curato numerosissime personali in Italia e all’estero e rassegne di arte. È stato commissario alla XII Quadriennale ed alle Biennali di Venezia del 1984 e del 2011. Ha firmato oltre 30 monografie. Sua è la Storia dell’arte italiana del ‘900 per generazioni in 10 tomi (Bologna, 1990-2010). Esperto del Futurismo, su di esso ha pubblicato saggi su volumi all’estero. È da poco uscito il volume 3 di raccolta dei suoi scritti Interventi ed erratiche esplorazioni sull’arte. La dialettica del mestiere di un critico (Gangemi, Roma).

Mi può parlare a grandi linee dei contenuti del suo ultimo libro, terzo della serie, e come è nata l’idea?

Ho sempre amato l’aspetto dialettico di questo mestiere e per declinazione personale sono sempre stato portato ad occuparmi di una moltitudine di tematiche differenti senza focalizzarmi su una singola materia. Mi sono molto ispirato a Francesco Arcangeli, critico di Bologna, per questo mio ultimo lavoro. Di Arcangeli, infatti, fu Einaudi a pubblicare due volumi sui suoi scritti d’arte. Così ho voluto riprendere l’idea. Certamente per delineare nel migliore dei modi una linea precisa dei miei scritti più celebri occorrerebbe impiegare un numero molto maggiore di pagine, ma anche per le esigenze dei lettori, ho preferito racchiudere il tutto in questi tre volumi su consiglio del mio editore. Risulta infatti una lettura snella, godibile e in particolare trovo estremamente importanti e rappresentative del mio lavoro le sezioni dedicate al Futurismo e all’arte fantastica. Ho da tempo ritenuto l’arte un’astrazione e sono giunto a questa tesi molti anni fa, ammirando a Senigallia la Muta di Raffaello.

Ebbene osservando quella tela ho compreso che l’arte è più di qualsiasi altra cosa pura astrazione. La figura riprodotta dall’artista diviene da tridimensionale qual è bidimensionale e così vale anche per la scrittura e per come il pensiero diventi attraverso la meditazione pura astrazione.

Come le dicevo, ho sempre messo al primo posto l’importanza della dialettica e del pensiero indipendente, motivo per il quale debbo ammettere di essermi attirato non pochi pareri discordanti nel corso della mia carriera. Un tempo era molto più complesso ricercare la propria autonomia di pensiero in questo settore. Ricordo perfettamente quando stroncai Guttuso direttamente sulla stampa comunista dell’epoca. Ci recammo a vedere Medusa con diversi critici tra cui Morosini, Micacchi e Del Guercio, tutti commentammo tra noi negativamente quella esposizione, ma il giorno dopo sui rispettivi giornali tutti si sperticarono in elogi rispetto al lavoro di Renato Guttuso. Io no, così stroncai la mostra su “Vie Nuove”. Ovviamente Guttuso non volle più sentir parlare di me. Assolutamente io ritengo che la missione del critico sia quella di testimoniare con veridicità quanto osserva. La grande rivoluzione di vedute in questo senso è avvenuta proprio nel ‘900 con l’Informale. Il disegno non è più stato utilizzato per creare un volto o un oggetto, ma per restituire sé stesso, divenendo segno, come la pennellata gesto ed il colore materia. L’arte non è mai copia del reale, ma di esso è un’astrazione, ecco perché amo parlare di astrattismo iconico, astrattismo aniconico ed astrattismo meticciato, nei casi in cui le due componenti convivono.

Lei ha scritto la Storia dell’Arte Italiana del 900, abbiamo il piacere di intervistare uno storico e critico d’arte che ha lavorato anche nell’ambito della Biennale di Venezia, ci vuole raccontare qualcosa a proposito di questa straordinaria esperienza?

Parliamo di esperienze e momenti professionali alti e importanti che si raggiungono quando si ha a che fare con un demone in corpo. Nel mio caso il mio “demone personale” è stato ed è la scrittura e la critica d’arte, che è divenuta la mia professione, dopoché smisi di dipingere intorno ai 20 anni, consapevole che con la pittura non avrei raggiunto livelli altissimi. Ma l’arte come vera e propria febbre di vita mi influenzava a tal punto che ad essa continuai a dedicarmi come critico, pertanto mi iscrissi a Lettere, corso arte all’Università alla Sapienza. Durante gli studi mi accorsi che molti punti della storia dell’arte italiana risultavano oscuri ed imprecisi. Fu così che decisi, appena laureatomi, di studiare la materia nel dettaglio proprio per poter dirimere quei punti di oscurità

Ebbi la possibilità nel 1975 di fondare per le edizioni Bora di Bologna “Terzo Occhio”, quadrimestrale di arte fantastica, in seguito divenuto trimestrale d’arte contemporanea. Fu poco dopo che nacque l’idea delle Biennali Nazionali d’Arte per generazione, realizzate a partire dal 1980 a Rieti con la locale Provincia. La prima fu la biennale dedicata ai nati negli anni Venti (1980), in seguito alla generazione degli anni Dieci (1982) ed infine alla generazione del primo decennio del ‘900 (1985). Ai consueti cataloghi sostituii un volume sulla relativa generazione.

Questa formula fu la base per i volumi della mia storia dell’arte, che hanno rappresentato per me una fonte inesauribile di spunti per i miei studi, sia storici (la dittatura in Italia, la monumentomania post Grande Guerra) per le diverse forme d’arte susseguitesi.  Da allora ho iniziato a stigmatizzare la diffusa ignoranza dell’arte contemporanea, per cui nei miei scritti ho iniziato a proporre un capovolgimento nei programmi di studio, cioè iniziare gli studi dal secolo in cui si vive e procedere a ritroso per far sì che tutti i giovani si riappropriassero della cultura e della storia del periodo in cui vivono.

Quindi proponevo che il primo volume di storia, di letteratura, arte, ecc, fosse quello sul ‘900.   Ho infatti sempre sostenuto che per comprendere meglio quanto ci accade intorno, ma soprattutto per riappropriarsi della propria cultura e delle proprie radici, occorra cominciare dall’oggi, dall’epoca contemporanea, tanto più che noi con la nostra mentalità d’oggi ci accostiamo agli eventi del passato. Per esempio, noi oggi guardiamo a Giotto con occhi odierni non con quelli delle persone del Duecento/Trecento, poiché siamo il frutto di secoli di arte e cultura. Ed è solo così che saremo in grado di capire il passato.

Il secondo volume dei suoi scritti è stato presentato al Senato, nel volume 3 lei ha menzionato anche Marco Manzo e altri tatuatori nell’ambito dell’Arte internazionale. Ci può dire come mai il tatuaggio è stato inserito nel mondo dell’arte e ci può dire come si inserisce nel panorama artistico il mondo del tatuaggio?

Ho voluto raccogliere in questo volume i saggi e gli scritti che considero maggiormente rappresentativi del mio percorso accademico e critico. L’editore Gangemi di Roma, quando gli proposi la prima selezione dei miei testi, mi fece notare che il numero di pagine risultava essere veramente eccessivo, per cui mi propose di farne 3 volumi di 240 pagine. Alla luce di questo non ho potuto fare a meno di scremare qualcosa. E siamo comunque arrivati a questo terzo volume di 256 pagine. Ritengo che in questo modo risulti di maggiore apprezzamento anche da parte di un pubblico più vasto che possa trovare la lettura piacevole e non eccessivamente gravosa. I tre volumi potremmo a grandi linee definirli un mio ritratto. Infatti, essi rispecchiano i miei interessi maggiori.  Procedendo nella selezione dei testi da ripubblicare, mi accorsi di avere una percezione diversa rispetto agli altri critici: mi sono occupato di tante tematiche diverse, dall’arte fantastica a quella monocromatica (monocromatici bianchi, neri e rossi), dalla storiografia (i ritratti del “duce”) ai rapporti tra arte e fumetto e all’arte erotica sino al tatuaggio per rispondere alla domanda.

Nel mio testo Quando il linguaggio è arte mi riferisco all’affermazione del trattatista del ‘300 Cennino Cennini, il quale poneva il disegno come “fondamento dell’arte”, per cui anche il tatuaggio è arte. Il tatuaggio di Marco Manzo è basato sul disegno, in particolare ha creato un nuovo tipo di visione di questa disciplina artistica: il tatuaggio decorativo o orna-mentale appunto, che va a restituire un’interpretazione singola e personale per ogni destinatario. Tutta l‘arte si basa sul disegno oltre che sul colore. Il tatuaggio tra l’altro può fondarsi su entrambe le cose e queste immagini sono arte realizzata su corpo. Per questo spesso dico alle modelle tatuate da Marco che esse hanno il privilegio di poter portare addosso vere e proprie opere d’arte ed hanno la fortuna di mescolarsi tra la gente come opere artistiche.

 

 

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