Jonella Ligresti ha ottenuto un risarcimento di oltre 48 mila euro per ingiusta detenzione, relativa a un periodo di privazione della libertà che ha impattato profondamente la sua vita. Dopo la revoca della condanna ottenuta a maggio 2021, la Corte d’Appello di Milano ha riconosciuto le pesanti conseguenze personali e familiari della vicenda, che si è protratta tra il 2013 e il 2014. Questo articolo analizza i dettagli della sentenza, le motivazioni della corte e le implicazioni legali per Ligresti.
Jonella Ligresti, figlia del noto costruttore siciliano Salvatore Ligresti, si è trovata coinvolta in un intricato caso giudiziario che l’ha portata a scontare una detenzione di circa quattro mesi in carcere, seguiti da otto mesi di arresti domiciliari. La condanna di primo grado, emessa nel 2014 nell’ambito di un’inchiesta su FONDIARIA-SAI, è stata poi annullata nel maggio 2021 tramite decreto di archiviazione. Questa sentenza ha aperto la strada per il risarcimento per l’ingiusta detenzione che ha inciso notevolmente sulla sua vita personale e professionale.
In seguito alla decisione della Corte, Ligresti, assistita dal legale Lucio Lucia, ha presentato una richiesta di risarcimento che inizialmente superava la somma di 516 mila euro. Tra le motivazioni addotte ci sono state le “gravissime conseguenze personali, familiari e professionali” dovute alla detenzione di 366 giorni. In subordine, la richiesta era stata di 246 mila euro. La richiesta si fondava non solo sulle condizioni di detenzione, ma anche sul clamore mediatico che aveva circondato la sua vicenda.
La quinta Corte d’Appello di Milano ha stabilito un’indennità finale di 48.539,62 euro, cifra nettamente inferiore a quella inizialmente richiesta. La Corte ha giustificato questa decisione riconoscendo le “numerose” conseguenze che Ligresti ha patito a livello personale e familiare. Durante i suoi 126 giorni di detenzione a Cagliari e Torino, la donna è stata separata dai figli, creando una sofferenza emotiva, specialmente per il secondogenito. Questo aspetto è stato ritenuto cruciale dai giudici, che hanno evidenziato come la privazione della libertà avesse avuto un impatto diretto sulle relazioni familiari.
Oltre alla sofferenza emotiva e psicologica, i giudici hanno sottolineato le ripercussioni concrete sulla carriera di Ligresti. Il periodo di detenzione ha comportato dimissioni da cariche societarie e un’indiscutibile compromissione della sua carriera professionale per ben otto anni. La Corte ha pertanto ritenuto che l’indennizzo dovesse essere personalizzato in considerazione dei danni subiti, ovvero un risarcimento che riconoscesse la gravità della situazione vissuta.
La somma stabilita dai giudici è stata dimezzata rispetto a quella inizialmente calcolata, la quale era 97.079,23 euro. La Corte ha giustificato questa riduzione con la presenza di una “colpa lieve” riconducibile a Ligresti, che ha pesato sull’entità del risarcimento. Sebbene tale responsabilità non abbia escluso l’indennizzo, ha comunque avuto un ruolo nel determinare la cifra finale. La difesa di Ligresti contesta questa valutazione, sostenendo che non vi sono elementi sufficienti per attribuirle una qualsivoglia responsabilità.
Questa sentenza non solo chiude un capitolo doloroso per Ligresti, ma solleva interrogativi sulle future integrazioni legali relative all’ingiusta detenzione. Gli avvocati e i legali esperti nel campo dei diritti civili seguiranno con attenzione gli sviluppi di questo caso, poiché le implicazioni di questa decisione potrebbero influenzare casi simili in futuro. L’attenzione rimane alta su come il sistema giudiziario italiano gestisca situazioni di ingiusta detenzione, con l’obiettivo di tutelare i diritti delle persone coinvolte.
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