Il recente documentario “Riefenstahl”, presentato Fuori Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, offre una visione inedita e provocatoria della celebre regista tedesca Leni Riefenstahl. Attraverso un ampio materiale d’archivio che include 50.000 fotografie, il film diretto da Andres Veiel si propone di contestare la narrazione di Riefenstahl di essere stata estranea al regime nazista. Analizzando il suo passato e il suo rapporto con il nazismo, il regista compie un’accurata indagine che rivela le contraddizioni e le difficoltà di una figura così controversa e complessa.
Dopo la sconfitta della Germania nella seconda guerra mondiale, Leni Riefenstahl tentò di riposizionarsi nel panorama cinematografico e culturale, presentandosi al pubblico come un’artista apolitica. Sostenne che i suoi film, tra cui quelli dedicati alle Olimpiadi di Berlino del 1936, non erano il riflesso di un approccio ideologico, ma semplici commissioni artistiche in cui il Führer e i suoi collaboratori avevano avuto un ruolo. Riefenstahl dichiarava di non aver mai voluto avvicinarsi alla sfera politica, minimizzando il suo coinvolgimento nel regime.
Tra le opere che hanno contribuito a definirla, “Il trionfo della volontà” e “Olympia” sono le più celebri, filmate in un contesto di chiara celebrazione del nazismo. Tuttavia, il documentario di Veiel scava non solo nei suoi lavori ma anche nei suoi archivi personali, gestiti dalla Prussian Cultural Heritage Foundation di Berlino, rivelando come la regista abbia cercato di rimuovere gli elementi più compromettenti della sua storia professionale.
Riefenstahl, che visse fino a 101 anni, ha speso l’ultima parte della sua vita a tentare di “ripulire” la sua immagine, rimuovendo materiali che potessero incriminarla. Uno degli episodi più significativi nel documentario è un’intervista rilasciata nel 1931 al quotidiano britannico Daily Express, dove ammetteva di essersi innamorata di Hitler sin dal primo approccio con “Mein Kampf”. Sebbene avesse tentato di distruggere le prove di tali affermazioni, Veiel riporta di aver recuperato il ritaglio originale, mettendo in luce la sua relazione con il nazismo.
Il film mostra Riefenstahl mentre combatte strenuamente per difendere la propria reputazione, negando di aver utilizzato rom come comparse nei suoi film e di aver mai nutrito sentimenti antisemiti. Inoltre, viene discussa la questione di un film sull’Olocausto che lei stessa distrusse, elemento che solleva interrogativi sulla sua coscienza e sul suo ruolo nella narrazione nazista.
Nel corso della presentazione del film, Veiel ha descritto Riefenstahl come una “manipolatrice” capace di generare false narrazioni, un’abilità che la rende, in modi inquietanti, un’archetipo della propaganda moderna. Le similitudini tra le sue tecniche e le attuali strategie comunicative di leader come Vladimir Putin e Donald Trump sono state evidenziate come un monito sugli effetti che una figura carismatica può avere sulla società.
Riefenstahl, nonostante le sue controversie, continuava a essere una figura affascinante fino alla fine della sua vita, esprimendo attraverso vari progetti cinematografici una ricerca di bellezza estetica e perfezione. La sua ultima produzione la vedeva intenta a documentare esperienze in Sudan con tribù indigene e successivamente dedita a un film sportivo sulle imprese sottomarine.
Il documentario “Riefenstahl” invita quindi a riflettere non solo sulla vita di una regista ma anche sulle complesse dinamiche di potere e controllo che attraversano la storia e la società contemporanea. La figura di Riefenstahl, dunque, non è solo un capitolo del passato, ma un tema ricorrente nel dibattito culturale odierno.
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