Ultimo aggiornamento il 11 Giugno 2024 by Luisa Pizzardi
Il 10 giugno 1981, l’Italia intera rimase con il fiato sospeso per tre giorni, mentre seguiva la tragica vicenda di Alfredino Rampi, il bambino caduto in un pozzo artesiano a Vermicino, vicino a Roma. Questa tragedia, nota come “il pozzo maledetto”, ha lasciato un segno indelebile nella memoria degli italiani.
Il dramma inizia
Alfredino, figlio di Nando Rampi e Franca Bizzarri, era andato con i genitori nella loro casa di campagna nei pressi di Frascati. Al ritorno, il padre non lo trovò e immediatamente scattarono le ricerche. lamenti provenienti da un pozzo artesiano portarono un sottufficiale della polizia alla scoperta del bambino intrappolato.
Le prime ore delle operazioni di soccorso furono caratterizzate dall’incertezza sulla via migliore da seguire. Fu calata al bambino una tavoletta legata a una corda, ma questa si incastrò e causò difficoltà insormontabili per far giungere ad Alfredino soccorsi di ogni genere. Un microfono sensibilissimo fu calato ad alcuni metri di distanza dal bambino, permettendo a tutti gli italiani di ascoltare le sue invocazioni di aiuto per quasi due giorni. Iniziò così il drammatico dialogo tra Alfredino e il vigile del fuoco Nando Broglio.
Mentre i soccorsi continuavano, un “uomo ragno” cercò di rimuovere la tavoletta e si cominciò a scavare con una trivella. Intorno al pozzo, tantissima gente si radunò nella speranza di vederlo uscire salvo. Ad Alfredino veniva fatto bere saccarosio da una flebo calata giù nel cunicolo. Anche il Presidente della Repubblica Sandro Pertini si recò sul luogo della tragedia e volle parlare con il bambino.
Il dramma si conclude
Purtroppo, dopo un iniziale ottimismo, la situazione peggiorò. Alfredino scivolò di altri 30 metri. Vani furono gli sforzi dei volontari Angelo Licheri e Donato Caruso, che si calarono nel pozzo e più volte cercarono di legarlo. All’alba del terzo giorno, il bambino morì.
La tragedia di Vermicino ha portato a polemiche per la conduzione dei soccorsi e a un processo contro l’operaio responsabile dello scavo, Elio Ubertini, e il proprietario del pozzo, Amedeo Pisegna, che furono assolti dall’accusa di omicidio colposo. Elveno Pastorelli, allora comandante dei vigili del fuoco di Roma, che coordinò i soccorsi, fu invece scagionato completamente in istruttoria.
“In questo Paese manca ancora a livello diffuso la cultura della prevenzione,” è la considerazione di Franca Bizzarri Rampi, la madre di Alfredino. Un pensiero il suo affidato a Daniele Biondo, psicoanalista, del direttivo del ‘Centro Alfredo Rampi‘, fondato a poche settimane dopo la tragedia. Franca Rampi reagì al dolore con grande forza: fece subito un appello per mobilitarsi come cittadini e istituzioni, fondò l’associazione a nome del figlio perché nessuna mamma dovesse vivere il dramma che aveva vissuto lei.
Sul versante dei soccorsi, invece, “al contrario si sono fatti passi da gigante,” sottolinea lo psicanalista. In Italia, dopo 40 anni, è cambiato tanto grazie a Vermicino. Tutto quello che all’epoca è mancato e che purtroppo, forse, ha generato anche il fallimento del salvataggio di Alfredino è migliorato. Abbiamo imparato che c’era bisogno di un sistema organizzato di soccorsi, un coordinamento tra soccorritori che a Vermicino non c’era.