La tragica epopea di Jacqueline Kennedy: dalla Casa Bianca alla morte, una vita segnata dal destino

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La tragica epopea di Jacqueline Kennedy: dalla Casa Bianca alla morte, una vita segnata dal destino - Occhioche.it

Ultimo aggiornamento il 30 Maggio 2024 by Giordana Bellante

‘immagine che rimane impressa nella mia mente è quella più sconvolgente, più drammatica. È il 22 novembre 1963, ore 12.30. Jacqueline Kennedy, con il suo iconico tailleur rosa, si sporge sul cofano della Lincoln presidenziale scoperta, cercando di afferrare un brandello della materia celebrale di suo marito John, appena colpito a Dallas. Un gesto istintivo, irrazionale, disperato, poetico.

La fine di un sogno

Con lo stesso tailleur di Chanel, macchiato di sangue, la first lady, che da quel momento non lo sarà più, sull’aereo che riporta la salma di suo marito a Washington assiste, con alto senso del dovere, al giuramento del nuovo presidente, l’ambiguo Lyndon B. Johnson. Tutto è finito, in pochi istanti. Quelli fissati dalla telecamera amatoriale del sarto Abraham Zapruder. La coppia più bella del mondo è dissolta. Lui un corpo senza vita, lei con quel vestito imbarazzante e gli occhi stravolti.

È finita Camelot, la corsa allegra sul prato della Casa Bianca dei bambini John Jr. e Caroline, la saga delle gite in barca a Hyannis Port, i vestiti di Oleg Cassini, il fascino con il quale stregava chiunque la sfiorasse, persino il burbero Kruscev e il segaligno De Gaulle.

Dolore e felicità

Poche donne hanno conosciuto tanta felicità e tanto dolore come Jacqueline Bouvier Kennedy. Due figli perduti, Arabella nata senza vita nel 1956 e Patrick vissuto due giorni soli, nell’agosto di quel maledetto 1963.

Poi un marito ucciso, dieci anni dopo il matrimonio, quando lei aveva solo 34 anni. Essere a sua volta scomparsa, per il linfoma non Hodgkin, nel 1994 a 65 anni, le ha impedito di conoscere lo strazio per l’assurda morte di suo figlio John Jr, su quel volo nel quale perirono anche la moglie e la cognata. Ma cinque anni dopo l’attentato di Dallas, lei accompagnò il feretro di suo cognato Robert Kennedy che aveva sostenuto in quella campagna elettorale che, se fosse stata vinta da RFK, avrebbe cambiato per sempre il destino del mondo.

In fuga dai fantasmi

Per un anno intero, dopo la morte di John, dopo quel funerale in cui John Jr, a soli tre anni, salutò militarmente la bara del padre, dopo la cerimonia funebre di Robert che forse amava, ma erano affari loro, a Jacqueline Bouvier sembrò che il senso di morte che aveva attraversato la sua vita fosse diventato eccessivo. E partì per l’Europa dove, in Grecia, fece la scelta che nessuno si aspettava. Sposò Aristotele Onassis, francamente il contrario della sua scelta precedente. Un matrimonio contrattualizzato fino ai dettagli, in verità fatto più di assenze che di condivisione, che durò poco. In quel periodo morì, anche lui per un incidente d’aereo, il figlio di Onassis, Alexander. La morte sembrava inseguirla, non darle tregua. Non era bastato cambiare continente, fuso orario, famiglia. La partita a scacchi con il destino non finiva mai, per la bella fotografa di origine francese.

Gli ultimi vent’anni di silenzio

Gli ultimi venti anni di Jackie sono avvolti nel silenzio. Poche apparizioni pubbliche, solo cultura, arte, fotografia, contributi alla memoria dei Kennedy. Tempo fa, furono rivelati i contenuti della lunga conversazione che la first lady ebbe nel 1964 con Arthur Schlesinger, storico e collaboratore dei Kennedy. Nulla di pruriginoso, come ci si aspettava da parte di qualcuno. Solo storia, ricostruzione politica e personale. Jackie è rimasta sempre com’era. Enigmatica, elegante, riservata, misteriosa. Credo, da quello che mi ha detto chi l’ha conosciuta, che fosse una donna dotata di una potente personalità e di una formidabile intelligenza. Ha vissuto la felicità e conosciuto il dolore. Una vita da tragedia greca, più che da commedia americana.