Ultimo aggiornamento il 12 Giugno 2024 by Luisa Pizzardi
La vicenda di Alfredino Rampi è una delle più drammatiche e strazianti che l’Italia abbia mai dovuto affrontare. Il 10 giugno 1981, questo evento tragico ha paralizzato il Paese per tre lunghi e angoscianti giorni, lasciando un segno indelebile nella memoria collettiva. A distanza di 43 anni, la Rai ha recentemente mandato in onda una miniserie in due puntate intitolata “Alfredino – una storia italiana”, per ricordare questo tragico evento e le sue conseguenze.
“La diretta no-stop della Rai e le polemiche che ne seguirono”
In quei giorni, la Rai decise di trasmettere una diretta no-stop della durata di 72 ore, culminata con la morte del bambino. Una decisione che, dopo il tragico epilogo, suscitò aspre critiche e polemiche. La storia di Alfredino è quella di un bimbo che era andato con i genitori, Nando Rampi e Franca Bizzarri, nella loro casa di campagna nei pressi di Frascati per trascorrere l’estate. Dopo una passeggiata, il padre non lo trovò e immediatamente scattarono le ricerche. lamenti provenienti da un pozzo artesiano portarono un sottufficiale della polizia alla drammatica scoperta: il bimbo era rimasto incastrato a circa 60 metri senza la possibilità di muoversi.
Per salvarlo, furono fatti diversi tentativi, tutti rivelatisi vani. Inizialmente, fu calata al bimbo una tavoletta legata a una corda, ma questa restò incastrata e causò ulteriori difficoltà nei soccorsi. Poi, fu deciso di calare ad alcuni metri di distanza dal bimbo un microfono sensibilissimo, una scelta discutibile visto che a tutti gli italiani fu possibile ascoltare per quasi due giorni le invocazioni di aiuto di Alfredino. Per molte ore, iniziò un drammatico dialogo tra il piccolo e il vigile del fuoco Nando Broglio. Non si lasciò niente di intentato, si cominciò a scavare con una trivella e al piccolo Alfredo veniva fatto bere saccarosio da una flebo calata giù nel cunicolo. Anche il presidente della Repubblica Sandro Pertini si recò sul luogo della tragedia e volle parlare con il bimbo.
” tentativi di salvataggio e la morte di Alfredino”
Purtroppo, le speranze iniziarono ad affievolirsi quando una trivella scese a 31 metri e Alfredino scivolò di altri 30 metri. ‘ultimo tentativo fu quello di far calare due volontari, Angelo Licheri e Donato Caruso, per cercare di legare e tirare su il bambino, ma senza successo. All’alba del terzo giorno, Alfredino morì.
Un volontario, Angelo Licheri, si calò nel pozzo per tentare di liberare il piccolo, ma non riuscì e dovette abbandonarlo lì, agonizzante. ‘uomo è morto il 18 ottobre del 2021, ma nel 2018 raccontò la sua storia ai microfoni di “Fanpage.it”. “Per anni ho sognato la morte con la falce e la mezza luna, mi sfidava io le dicevo, se vuoi Alfredino dovrai passare su di me”, confessò. Angelo Licheri, all’epoca 37enne, si offrì volontario. Il piano era semplice: arrivare dove gli speleologi con le loro trivelle non erano arrivati, afferrare Alfredino e tirarlo su. “Mi sono presentato e ho detto: io vengo da Roma, se possibile vorrei rendermi utile – confessò – Pastorelli mi chiese: lei soffre di qualcosa? Ha mai avuto… Senta , non mi dica nulla, mi lasci solo scendere”. Alle 23 e 50 di venerdì 12 giugno Angelo Licheri venne calato nel cunicolo. “Appena sceso – raccontò l’uomo – ho toccato le mani del bambino, con un dito gli ho pulito la bocca e poi gli occhi per farglieli aprire, però lui è rimasto così , rantolava”.
Il racconto drammatico di Angelo Licheri continua con i dettagli del suo tentativo di salvare Alfredino: “Parlavo e lavoravo per liberare la mano per poter infilare l’imbracatura. ‘Quando usciamo di qui ti compro una bicicletta – gli promettevo – i miei bambini ce l’hanno, giocherete insieme’. Quando era pronto ho intimato: ‘tiratemi su!’. Loro hanno dato uno strattone e il moschettone si è sganciato, allora ho provato a prenderlo sotto le ascelle ma anche allora davano degli strattoni impossibili. Alla fine ho provato a tirarlo dai polsi. Ho sentito ‘track’, lui neanche si è lamentato. Gli ho spezzato il polso sinistro. Mi sono quasi sentito in colpa: ‘ha già tanto sofferto e ora sono arrivato io per rompergli anche il polso’. Ho fatto l’ultimo tentativo, l’ho preso per l’indumento, ma è caduto. Alla fine ho mandato un bacio e sono salito su”.
Dopo la tragica fine del bimbo è rimasta la rabbia. “Era così facile salvarlo – dichiarò Angelo Licheri – Gli ingegneri non capiscono niente, se avessi visto la posizione in cui era avrei scavato la terra con un cucchiaio o con una palettina da giardino, ma gli ingegneri studiano i libri, se gli dai una zappa si rompono un piede”. Questa tragica storia ha segnato profondamente l’Italia, lasciando un segno indelebile nella memoria collettiva e sollevando importanti questioni sul ruolo dei media e sulle responsabilità dei soccorsi in situazioni di emergenza.