In seguito a un crescente malcontento nella comunità, diverse mobilitazioni hanno preso piede a Roma per rivendicare il diritto all’abitare. I cittadini si sono mobilitati per la riapertura di immobili pubblici da tempo in disuso, come l’ex scuola Sibilla Aleramo e la scuola Liberato Palenco a Rebibbia. Queste azioni hanno acceso un dibattito su temi critici, come la ristrutturazione di edifici pubblici e il loro utilizzo per scopi sociali, evidenziando al contempo la problematica dell’emergenza abitativa in città.
Negli ultimi mesi, il riutilizzo di edifici pubblici abbandonati ha preso una piega significativa, con la riapertura della ex scuola Sibilla Aleramo su via Tiburtina e, più recentemente, dell’edificio che ospitava la scuola Liberato Palenco a Rebibbia. Questi edifici, dimenticati per anni, sono ora al centro di un dibattito che coinvolge non solo gli abitanti del quartiere, ma anche l’amministrazione locale e i possibili investimenti previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza . Attraverso questo piano, si prevede una ristrutturazione che potrebbe restituire a queste strutture la funzione sociale originaria.
La riapertura di tali edifici non è vista solo come un’opportunità, ma come una necessità da parte dei cittadini, in particolare da coloro che vivono in condizioni di emergenza abitativa. Molti residenti auspicano che gli spazi possano essere utilizzati per attività sociali, culturali o residenziali, contribuendo a soddisfare esigenze locali. Tuttavia, non mancano le critiche verso il governo, accusato di lentezza nell’attuazione di progetti di questo tipo e di non impegnare risorse adeguate per affrontare la crisi abitativa esplicita in molte aree della città.
La città di Roma è costellata di edifici abbandonati e spazi non valorizzati, molti dei quali si trovano lungo via Tiburtina e a Ponte Mammolo. Attraversando queste aree, si possono notare edifici come l’ex Penicillina, il Teatro Gerini e diverse piccole attività commerciali, tutti segni di un territorio che lotta contro il degrado. La presenza di questi “ecomostri”, cioè strutture incompiute o trascurate, macchia il paesaggio urbano e suscita interrogativi sul futuro della pianificazione urbana. Senza un piano d’intervento e una visione chiara da parte delle amministrazioni, questi spazi rimangono in balia di eventi casuali.
L’accesso ai diritti fondamentali è centrale nel dibattito attuale. Gli abitanti di Rebibbia e Ponte Mammolo si sentono privati non solo del diritto alla casa, ma anche di altri servizi essenziali come la sanità e l’istruzione. Le scuole locali si trovano sotto minaccia di chiusura a causa di politiche di dimensionamento che vanno a discapito di comunità già vulnerabili. L’assenza di un polo sanitario pubblico nel quartiere è un ulteriore indizio della mancanza di attenzione verso i diritti dei cittadini. Questi problemi complessi richiedono soluzioni integrate e una visione olistica della benessere urbano.
Sottovalutare l’importanza di una gerarchia tra diritti sociali è un errore. In un contesto così difficile, le rivendicazioni per una casa dignitosa, l’accesso all’istruzione e alla sanità non dovrebbero essere considerate in opposizione, ma come elementi di un’unica lotta per il riconoscimento dei diritti di tutti. La sensazione è che le responsabilità debbano essere assunte in modo chiaro da chi ha il potere decisionale, senza rinviare a tempi futuri le scelte necessarie per garantire un futuro dignitoso.
Mentre la scadenza del 2025 potrebbe sembrare lontana, gli effetti delle attuali politiche si faranno sentire concretamente. Facendo appello alla responsabilità della politica, i cittadini chiedono un intervento tempestivo e diretto per affrontare le crisi abitative e sociali. Comitati come quelli di Quartiere Mammut e altre associazioni locali continuano la loro lotta, sottolineando la necessità di un cambio di rotta nella gestione del patrimonio pubblico abbandonato e nella difesa dei diritti essenziali di tutti i cittadini.
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