Ultimo aggiornamento il 13 Agosto 2024 by Giordana Bellante
Le recenti ricerche sull’ALZHEIMER e altre demenze stanno scoprendo nuovi orizzonti nel campo della diagnosi precoce e nel miglioramento delle terapie esistenti. Questa malattia neurodegenerativa, che colpisce circa il 5% della popolazione over 60 in Italia, con circa 500mila pazienti soddisfacendo requisiti sanitari e commerciali, sta facendo emergere un notevole interesse fra gli scienziati, il che porta a interrogarsi sull’effettiva validità delle soluzioni proposte.
L’importanza della diagnosi precoce
Uno scenario in evoluzione
Secondo Paolo Maria Rossini, responsabile del Dipartimento di Neuroscienze dell’IRCCS SAN RAFFAELE di Roma, la crescente attenzione per la diagnosi precoce è un passo importante nella comprensione dell’Alzheimer e delle forme di demenza. Negli anni recenti, numerosi studi hanno proposto test innovativi capaci di identificare la malattia prima della manifestazione dei sintomi. Si cerca di sviluppare biomarcatori incredibilmente precisi, attraverso analisi di sangue, neuroimmagini e elettroencefalogrammi, che possano aiutare medici e pazienti a ottenere una diagnosi biologica.
La ricerca si sta concentrando sul miglioramento dell’accuratezza diagnostica, per esempio identificando una vasta gamma di indicatori biologici. Tuttavia, emerge una questione cruciale: sebbene la diagnosi richiesta sia di fondamentale importanza, ci si deve preoccupare delle possibili conseguenze negative legate a risultati falsi positivi e negativi. Rossini sottolinea che una diagnosi di Mild Cognitive Impairment può generare ansia e confusione poiché non tutti gli individui identificati svilupperanno la malattia, lasciando a molti con una vita compromessa da un’anticipazione di malattia.
Falsi negativi e questioni etiche
La questione etica è un aspetto centrale del dibattito. Se molti dei biomarcatori esaminati si basano su popolazioni a rischio elevate, come quelle con MCI, ci sono timori su come gestire le aspettative di chi risulta positivo a questi test. Rossini evidenzia che in caso di una diagnosi di malattia neurodegenerativa, gli effetti collaterali per la persona risultano molto pesanti e complicati. Falsi positivi possono portare a conseguenze psicologiche, professionali e sociali che complicano ulteriormente la vita quotidiana degli individui. La riflessione va quindi non solo verso la cura della malattia, ma anche verso l’essenziale approccio di supporto ai pazienti.
Le terapie attuali e il futuro della ricerca
Anticorpi monoclonali e opportunità terapeutiche
Negli Stati Uniti, l’FDA ha approvato tre terapie basate su anticorpi monoclonali come Aducanumab, Lecanemab e Donanemab. Questi farmaci mirano a rimuovere i depositi di beta-amiloide, una proteina che si accumula nel cervello durante l’Alzheimer. Nonostante il progresso, né Aducanumab né Lecanemab sono stati approvati dall’EMA per l’Unione Europea a causa dell’efficacia limitata e dei costi elevati associati ai trattamenti.
Le complicazioni legate ai costi elevati dei farmaci e alle loro somministrazioni richiedono un’analisi critica. Rossini fa notare come le ricerche siano in corso e che nuovi farmaci, alcuni dei quali ad assunzione sottocutanea o orale, siano in fase 3 di sperimentazione. Si auspica che da questi studi possano emergere terapie più accessibili e meno invasive.
L’importanza dello studio sui fattori di resilienza
Oltre ai biomarcatori, c’è una crescente necessità di esplorare i fattori di resilienza, che potrebbero consentire a alcuni pazienti di resistere all’insorgenza dei sintomi cognitivi. La comprensione di come alcune persone riescano a mantenere una funzione cognitiva normale, nonostante la presenza di segni biologici della malattia, potrebbe rivelarsi fondamentale nel popolare schema delle demenze. Rossini conclude che l’attenzione sull’allungamento del periodo di autonomia dei pazienti non deve essere trascurata, poiché questo aspetto potrebbe influenzare significativamente le vite dei pazienti e delle loro famiglie.
Il progetto Interceptor e il futuro della diagnostica
Le potenzialità del progetto ‘Interceptor’
Il progetto ‘Interceptor’ rappresenta un’iniziativa d’avanguardia promossa in Italia, mirata a sviluppare un panel di biomarcatori sostenibili per la diagnosi precoce dell’Alzheimer. Questa strategia potrebbe permettere di gestire le risorse sanitarie e di affinare l’approccio alla detezione della malattia, distaccando i pazienti già malati da chi non lo sarà mai. Questa capacità di differenziare i pazienti in modo più efficiente potrebbe contribuire a una maggiore precisione negli interventi terapeutici e nei programmi di assistenza.
Le premesse di ‘Interceptor’ sono che, attraverso collaborazioni strategiche tra centri specializzati in tutto il Paese, sia possibile intraprendere un cambiamento significativo nella gestione delle demenze e delle loro implicazioni per la salute pubblica.
I temi affrontati da Rossini e dai suoi colleghi pongono all’attenzione un’importante verità: per affrontare l’Alzheimer e forme di demenza correlate, è cruciale unire la scienza, l’innovazione e la sensibilità verso i pazienti, per garantire un futuro di ricerca e progresso terapeutico efficaci.