Ultimo aggiornamento il 26 Settembre 2024 by Luisa Pizzardi
Il processo per l’omicidio di Mahmoud Abdalla, un barbiere di 19 anni brutalmente assassinato e mutilato a Genova nel luglio 2023, ha visto una giornata intensa di testimonianze e dichiarazioni contrastanti. Questo caso ha attirato l’attenzione sia per la sua crudezza che per le complessità legali dei procedimenti, coinvolgendo i due principali accusati, Abdelwahab Ahmed Gamal Kamel, noto come Tito, e Mohamed Ali Abdelghani Ali, conosciuto come Bob. La pubblica accusa ha presentato un quadro agghiacciante di sfruttamento lavorativo e vendetta personale, mentre i due imputati si accusano reciprocamente in una battaglia legale che promette di svelare dettagli inquietanti.
La vittima e le circostanze del delitto
Un giovane barbiere assassinato
Mahmoud Abdalla, un barbiere di soli 19 anni, è stato rinvenuto senza vita a Chiavari dopo essere stato torturato e mutilato. La notizia del suo omicidio ha scosso profondamente la comunità locale, rivelando il drammatico contesto di sfruttamento lavorativo subìto da molti giovani immigrati nella zona. Abdalla era impiegato in un barber shop di via Merano, dove, secondo l’accusa, aveva maturato un crescente malcontento a causa delle condizioni di lavoro.
Le accuse del pubblico ministero
La pubblica accusa, rappresentata dalla PM Daniela Pischetola, ha sostenuto che i due imputati avrebbero ucciso Mahmoud poiché il giovane aveva manifestato l’intenzione di trasferirsi in un’altra attività e di denunciarli per le loro pratiche lavorative poco etiche. La testimonianza di Bob suggerisce una dinamica di violenza premeditata, culminata in un attacco mortale nell’appartamento di Sestri Ponente. Qui, Abdalla sarebbe stato colpito e successivamente mutilato da Tito, gettando così luce sulla brutalità del crimine.
Le testimonianze e le accuse reciproche
La versione di Mohamed Ali Abdelghani Ali
Mohamed Ali, alias Bob, ha rilasciato dichiarazioni pesanti durante il processo, sostenendo di essere stato testimone dell’omicidio perpetrato da Tito. Secondo la sua testimonianza, Tito avrebbe accoltellato Mahmoud davanti ai suoi occhi. Bob, nel tentativo di difendersi, ha descritto la sua posizione di vulnerabilità, affermando di essere stato minacciato da Tito e indicando che il suo coinvolgimento nella distruzione del corpo è stato il frutto di paure per la sicurezza della sua famiglia in Egitto.
Difesa di Abdelwahab Ahmed Gamal Kamel
Dal canto suo, Tito ha cercato di spostare le responsabilità sul fratello di Bob, suggerendo che lui sarebbe stato il mandante dell’omicidio. La sua ricostruzione degli eventi appare complessa, con Tito che menziona un alterco durante il quale Mahmoud ha afferrato un coltello, innescando una reazione fatale. Secondo il suo racconto, la situazione sarebbe degenerata in un incidente imprevisto, rendendo difficile stabilire chi sia stato realmente l’autore materiale del crimine. La frontiera tra omicidio premeditato e reazione impulsiva si fa sempre più sottile.
Il futuro del processo e le prossime udienze
Prossime tappe processuali
Il processo proseguirà con una nuova udienza prevista per l’8 ottobre, quando verranno convocati altri testimoni e le prove raccolte saranno analizzate ulteriormente. La comunità attende con ansia il prosieguo delle udienze, dati i contorni inquietanti del caso. La corte, presieduta dal giudice Massimo Cusatti, ha il compito arduo di chiarire i fatti e il ruolo di ogni imputato in un omicidio che continua a instillare paura e indignazione tra i cittadini.
Aspetti legali e implicazioni sociali
Il caso di Mahmoud Abdalla non è solo un processo penale; è anche un riflesso delle problematiche più ampie legate al lavoro degli immigrati e alle condizioni sociali in cui vivono. Le testimonianze emerse fino ad ora evidenziano come la violenza possa integrare le dinamiche lavorative, mettendo in luce problematiche che richiedono un intervento urgente. Le conseguenze di questo omicidio, sotto tutti i punti di vista, stanno per essere esplorate, e l’esito del processo avrà ripercussioni non solo per i due imputati, ma per l’intera comunità.