Il nome di Renato Vallanzasca evoca una serie di atti criminali che hanno segnato la storia della criminalità milanese. Condannato a numerosi ergastoli, la sua biografia è un fascicolo di rapine, sequestri di persona e tentativi di evasione. Il recente trasferimento in una struttura assistenziale, dopo anni di reclusione, ha riacceso l’interesse pubblico sulla sua vita e sulla sua storia criminale. Esploriamo i momenti chiave della biografia di Vallanzasca e le circostanze che lo portano ora a vivere in detenzione domiciliare.
Nato a Milano il 4 maggio 1950, Renato Vallanzasca cresce in un ambiente complesso. Il suo cognome materno, Vallanzasca, è legato a questioni familiari più ampie, poiché il padre, Osvaldo Pistoia, non era in grado di riconoscerlo ufficialmente a causa delle leggi del tempo. Da bambino, Vallanzasca mostra segni precoci di ribellione e disobbedienza. A soli otto anni, insieme al fratello e a una futura compagna di vita, tenta di liberare gli animali da un circo nei pressi della sua abitazione. Questo primo atto di vandalismo si traduce in un arresto e nel periodo di detenzione nel carcere minorile Cesare Beccaria.
Da quell’episodio, la sua vita si tinge di attività illecite che iniziano a sfociare in furti e taccheggi. Con la formazione della Banda della Comasina, Renato diventa parte di un’importante rete criminale che attira l’attenzione delle autorità. Questa fase della sua vita segna l’inizio di un percorso che lo porterà a compiere azioni sempre più violente e audaci.
Il primo arresto significativo di Vallanzasca avviene nel 1972, insieme al fratello Roberto, per la rapina a due supermercati. Questa condanna iniziale lo porta nel carcere di San Vittore, dove dovrebbe rimanere per dieci anni. Tuttavia, la sua propensione alla violenza e alle risse con altri detenuti lo costringe a cambiare ben 36 penitenziari durante il suo periodo in carcere. Durante questi anni, Vallanzasca non perde mai di vista il suo obiettivo: evadere.
Le sue tattiche, bizzarre quanto rischiose, lo portano a tentare di contrarre malattie per ottenere un trasferimento in ospedale. Una delle sue azioni più drammatiche è stata quella di iniettarsi urine per via endovenosa e ingoiare uova marce. Finalmente, dopo un periodo di detenzione, riesce a fuggire dall’ospedale. La sua liberazione, però, si accompagna a una vita di illegalità che lo riporta nuovamente nei riflettori delle forze di polizia.
La latitanza di Vallanzasca non segna un arresto della sua carriera criminale; al contrario, segna un secondo atto di una vita costellata di violenze. Registra un numero impressionante di rapine, circa 70, durante le quali il sangue scorre, con diverse vittime innocenti che perdono la vita. A queste azioni, segue la scelta drammatica di avviare anche sequestri di persona. In tutto, Vallanzasca compie quattro sequestri, al fine di ottenere riscatti e sfuggire alle forze dell’ordine.
Il culmine della sua attività criminale si ha nel 1980 quando, dopo un’eroica fuga da San Vittore insieme ad altri detenuti, tiene in ostaggio un agente, dando luogo a un conflitto a fuoco per le strade di Milano. Sebbene riesca a creare scompiglio, viene di nuovo catturato. La sua abilità di evasione si dimostra un potente simbolo della sua vita di criminalità.
Nonostante i numerosi tentativi per ottenere la grazia, la vita di Vallanzasca continua a essere segnata da una serie di porte chiuse. Finisce per essere protagonista di nuove convenzioni legali, con la madre che si rivolge persino al presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi per richiedere clemenza. Tali richieste vengono sistematicamente respinte.
Un grave episodio accade nel 2014, durante un regime di semilibertà, quando Vallanzasca tenta di taccheggiare un supermercato. Questa azione lo porta di nuovo di fronte alla giustizia, e i tribunali non mostrano clemenza nei suoi confronti. Le sue richieste di libertà condizionale e semilibertà vengono più volte negate, giustificate dalla sua mancanza di ravvedimento e dall’insufficiente risarcimento alle vittime.
La recente decisione del tribunale di Sorveglianza di Milano di trasferire Renato Vallanzasca in una struttura assistenziale segna un nuovo capitolo nella sua vita. Questo cambiamento si basa sul riconoscimento del suo decadimento cognitivo, un fattore che ha spinto i suoi legali a presentare un’istanza di differimento pena. La struttura scelta si trova in provincia di Padova, e il trasferimento prelude a un regime di detenzione domiciliare, che rappresenta una svolta significativa nella sua esistenza dopo anni di reclusione.
Con questo spostamento, si pone l’accento non solo sulla sua vita precedente di violenza e delinquenza, ma anche sulle implicazioni etiche e legali legate alla sua età e salute attuale. Il parere favorevole della procura generale è una nota importante in questo processo, che riflette le considerazioni giuridiche circa la giustizia e la riabilitazione, sollevando interrogativi sul sistema penale e le sue risposte in casi complessi come quello di Vallanzasca.
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