Ultimo aggiornamento il 3 Settembre 2024 by Giordana Bellante
La recentissima azione di protesta a Sulmona ha chiamato l’attenzione sulla controversa costruzione della centrale di compressione Snam. Due attivisti del movimento “Per il Clima, Fuori dal Fossile” si sono incatenati al cancello del cantiere in località Case Pente, per contestare la decisione del governo di avviare la costruzione di due impianti considerati dannosi e inutili. La loro iniziativa, definita “obbedienza civile nonviolenta“, serve a denunciare gli effetti devastanti del cambiamento climatico legati a tali nuove infrastrutture.
Il contesto della protesta
L’azione degli attivisti Mario Pizzola e Alba Silvani si inserisce in un crescente movimento contro le politiche energetiche del governo italiano, che sembrano privilegiare gli interessi delle multinazionali del gas rispetto alla tutela dell’ambiente. Con il progetto del gasdotto Linea Adriatica e della centrale di compressione, previsto per distribuire gas da Sulmona a Minerbio, emergono questioni di rilevanza sociale, ambientale e sanitaria. Gli attivisti sottolineano come il consumo di metano in Italia sia diminuuto notevolmente negli ultimi anni, attestandosi a 60 miliardi di metri cubi, un calo significativo di 26 miliardi rispetto al picco massimo del 2005.
La contemporanea costruzione di un metanodotto e di una centrale in un contesto dove il fabbisogno di metano sta diminuendo solleva interrogativi sull’effettiva necessità di tali opere. Inoltre, il metanodotto minaccia di devastare zone montane ricche di biodiversità, comportando l’abbattimento di circa due milioni di alberi, il che rappresenta una violazione del principio di precauzione contro i danni ambientali.
Impatto ambientali e storici
La costruzione della centrale e del gasdotto non solo solleva preoccupazioni legate all’impatto ambientale, ma mette anche a rischio un patrimonio storico e archeologico inestimabile. L’area di Case Pente è stata testimone di importanti scoperte archeologiche durante i lavori di scavo, inclusi reperti risalenti all’età del bronzo e una necropoli con circa cento tombe. La presenza di tali beni culturali enfatizza ulteriormente il conflitto tra progresso economico e conservazione della memoria storica.
Inoltre, le argomentazioni degli attivisti richiamano l’attenzione sulla difficile situazione dell’Orso bruno marsicano, una specie in pericolo di estinzione. L’area di Case Pente è identificata come un corridoio ecologico e un sito di alimentazione per questa rara specie, lasciando quindi intendere che la presenza della centrale rappresenterebbe una minaccia diretta alla sua sopravvivenza.
Rischi per la salute e la qualità dell’aria
Il timore di una deteriorazione della qualità dell’aria è un altro tema cruciale dell’azione di protesta. Gli attivisti avvertono che le emissioni di polveri sottili e ossidi di azoto provenienti dalla centrale potrebbero avere un impatto severo sulla salute pubblica, aggravando malattie respiratorie e aumentando l’inquinamento in un’area già soggetta a problematiche ambientali. La particolare conformazione geografica della valle chiusa, circondata da alte montagne, aumenterebbe il ristagno degli inquinanti atmosferici, esponendo così la popolazione locale a rischi maggiori.
In questo contesto, l’azione di protesta a Sulmona rappresenta un campanello d’allarme riguardo le scelte energetiche attuali e le loro conseguenze a lungo termine sulla salute, sull’ambiente e sul patrimonio storico. Con la supervisione del procuratore capo della Repubblica di Sulmona, Luciano D’Angelo, e del dirigente del commissariato, Marzio Morganti, il tema sta acquisendo crescente visibilità, ponendo interrogativi sul futuro della regione e sull’uccisione dell’ambiente.