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Telefoni in carcere: patteggia quattro mesi dopo essere stati scoperti con il drone

Processo concluso per il tentativo di introdurre dispositivi in carcere tramite drone

Il processo relativo al tentativo di introdurre dispositivi di comunicazione in carcere attraverso l’uso di un drone si è concluso con un patteggiamento a quattro mesi davanti al giudice del tribunale di Bologna per 33enne di origini albanesi. L’accusa riguardava il tentativo di consegnare microtelefoni e smartphone al fratello detenuto nella Dozza per consentirgli di comunicare con l’esterno. “Sono soddisfatta dell’esito della vicenda con questa sentenza ad una pena equa per un giovane incensurato”, ha commentato l’avvocato Stella Pancari, difensore del giovane, che ha assistito anche i fratelli del 33enne in passato.

Accuse e indagini sull’episodio

Il giovane era stato accusato di tentata indebita introduzione di dispositivi di comunicazione per conto dei detenuti. Dopo essere stato individuato dalla polizia di frontiera all’ingresso in Italia, gli investigatori della Polizia avevano scoperto che aveva prenotato una stanza in un albergo e si era posizionato in via del Gomito, nelle vicinanze del carcere, per effettuare dei sopralluoghi. Secondo le indagini condotte in collaborazione con la polizia penitenziaria, l’obiettivo del 33enne era sorvolare la struttura con il drone e consegnare i dispositivi di comunicazione al fratello, trasferito successivamente in un altro carcere.

Dettagli sulle prove raccolte

Durante la perquisizione, al 33enne erano state sequestrate batterie per il drone, due smartphone e tre microtelefoni con relative schede SIM e cavi di connessione. Le prove raccolte durante le indagini hanno confermato il tentativo di introdurre illegalmente dispositivi di comunicazione nella struttura carceraria. Con il patteggiamento della pena, si è concluso il processo legato a questo episodio di tentata violazione delle regole detentive.

Redazione

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